Il mondo delle aziende accoglie così l’innalzamento a 3mila euro del tetto all’esenzione
Con favore ma anche con cautela. Il mondo delle aziende accoglie così l’innalzamento a 3mila euro del tetto all’esenzione dei fringe benefit. È apprezzato cioè l’obiettivo di rafforzare la disponibilità di reddito dei lavoratori, ma si sottolinea l’urgenza di una stabilizzazione di questi strumenti. «Si tratta certo di un tetto importante – dice Marina Verderajme, presidente nazionale di Gidp (Gruppo intersettoriale direttori del personale) – tuttavia il fatto che arrivi l’11 novembre, quando la gran parte degli accordi sono stati già siglati, mette in difficoltà le aziende e rischia di creare inutili tensioni con i sindacati». Troppo tardi, infatti, per riavviare la macchina delle negoziazione. Quindi la nuova soglia sul piano pratico potrebbe avere un impatto addirittura destabilizzante, quando invece la richiesta delle imprese è proprio quella di una maggiore stabilità delle misure: «Sarebbe meglio introdurre un tetto anche minore – prosegue Verderajme – ma stabile», misure cioè strutturali. «Così – conclude – si rischia di ridurre l’utilizzo ai buoni acquisto, invece lo spirito dovrebbe essere quello di un potenziamento del welfare aziendale».
«In effetti è difficile intervenire ora», spiega Marco Verga, direttore Sviluppo Persone & Organizzazione dell’Aeroporto Marconi di Bologna. «Se l’avessimo saputo prima – continua – avremmo potuto impostare una diversa strategia. La gran parte delle aziende ha chiuso gli accordi da tempo. Che almeno si introduca la novità per i prossimi anni».
Sulla stessa linea Vincenzo Di Marco, direttore delle risorse umane del Gruppo Pellegrini: «Se questa misura fosse resa strutturale, estesa a ogni forma di welfare aziendale e opportunamente commisurata alle retribuzioni, prevedendo un tetto o un décalage, avremmo un effetto immediato sul reddito, senza l’aggravio burocratico delle cervellotiche misure adottate in questi anni, con effetti indiretti che ne hanno spesso decretato la poca efficacia. Peraltro– continua – si “immetterebbero” sul mercato soldi “buoni”, nel senso che la perdita di Irpef da parte dello Stato sarebbe più che compensata dalla tassazione sui beni e sui servizi acquistati. La tracciabilità degli acquisti, poi, contribuirebbe in modo importante a ridurre il sommerso».